BORGATA CASTELLARO - COMUNE DI RONCO CANAVESE (TO)
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BORGATA CASTELLARO - COMUNE DI RONCO CANAVESE (TO)

 

02/01/2017

BORGATA CASTELLARO - COMUNE DI RONCO CANAVESE (TO)


Poco prima dell'abitato di Ronco, il comune situato al centro della Valle Soana, all'interno del più antico Parco Nazionale italiano, si trova la borgata Castellaro. Il borgo, di una manciata di fabbricati, si raggiunge tramite una stradina che si dirama dalla provinciale e oltrepassa al di sopra di un ponte alto 30 metri uno spettacolare orrido scavato nelle rocce del torrente Soana dalla forza dell'acqua. 
Castellaro si trova sul terrazzo del corso d'acqua, poco distante dalla confluenza del Forzo, in arrivo dall'omonimo vallone. L’acqua in questo angolo, incastonato tra le foreste e i dirupi impervi di questa valle selvaggia, è stata fonte di ispirazione e matrice dell’insediamento. Sfruttando la sua forza e i metalli reperibili nelle miniere della valle, l’uomo costruì una delle più complesse protoindustrie di queste montagne: la Fucina da Rame, rimasta in funzione sino al 1952.

 

Benvenuti in questo angolo di mondo. A Castellaro spazio e tempo sembrano essersi persi nei boschi che lentamente avvolgono le case e nelle pietre con cui esse vennero costruite nei tempi che furono. Qua, l’industrializzazione del secondo dopo guerra ha posato la parola “fine” sui magli in legno e pietra che battevano il rame. Qua, le storie degli uomini della fucina sembrano sentirsi ancora, per chi vede in questi ruderi i segni di un’architettura testimonianza di saperi antichi. A Castellaro le storie della fucina non si sono mai spente. Continuano a sentirsi…

 

L’opificio di Castellaro è stato il luogo del duro e faticoso lavoro di molti valsoanini. Alla Fucina sono passate tantissime persone e con loro sono vissute le loro storie. Il Cima nel suo romanzo* racconta la storia dei falsari e delle vicende che si intrecciano con la fabbrica di paioli in rame di Glaudo Calvi.

“Pochi istanti dopo l’ingresso dei lavoratori il flusso dell’acqua sul grande canale, sostenuto da una robusta palificata affiancata al muro della fucina, venne deviato con un movimento delle paratoie azionate dall’interno e le due grandi ruote idrauliche incominciarono a girare, dapprima piano e poi sempre più in fretta fino a quando il loro moto divenne vorticoso e gli spruzzi dell’acqua schizzati dalle pale arrivarono a bagnare le lose del tetto. L’acqua del canale spumeggiava cadendo e si raccoglieva in un piccolo invaso, prima di scendere nella roggia che la riportava nel letto del torrente. Subito dopo l’avvio delle ruote s’intesero i colpi sordi, che via via divennero ritmati. Agostino riconobbe i magli. Uno dopo l’altro incominciavano a lavorare… Tutum… Tutum… Tutum…”

 

La fucina da rame

Datato 1675, come attesta la scritta su pietra all'interno "IHS Glaudo Calvi 1675", il fabbricato sicuramente più interessante è quello della Fucina da Rame. Sfruttando l’acqua del Soana, incanalata mediante una diga cosidetta “instabile” – costruita in pietrame e fascine (in modo che non opponesse resistenza all’impeto dell’acqua nei periodi di piena) – a monte dell’opificio, inviava l’acqua alle ruote in ferro che davano moto ai magli e su due trombe idrauliche in legno, per la ventilazione delle forgie. Le trombe idrauliche erano un dispositivo ingegnoso e semplice, basato sullo stesso principio applicato oggi per generare il vuoto mediante iniettori: erano costituite da uno o più tronchi in legno cavi disposti verticalmente in cui veniva fatta precipitare da un canale l’acqua che, nella caduta, inglobava aria. Acqua e aria confluivano in una botola interrata in legno, e, mentre l’acqua fuoriusciva per perdita sotterranea, l’aria era sospinta nella fucina attraverso una rete di condotti che giungevano alle forge, ventilandole costantemente.

La prima fase della lavorazione del rame consisteva nella predisposizione in forno di fusione del metallo, a cui si aggiungeva carbone di legna, piombo e stagno, opportunamente dosati per migliorarne la qualità. Il liquido ottenuto era scodellato con grandi mescoli di ferro in contenitori di refrattario per formare i masselli; questi, una volta induriti ma ancora incandescenti, venivano lavorati al maglio. Il meccanismo più rappresentativo della fucina, il maglio, era una specie di enorme martello in cui il manico, attraverso perni ortogonali di bronzo, oscillava entro incastellature in pietra, mentre le teste battevano sui piani in lastre di pietra.

Alternativamente riscaldato e rilavorato più volte, con ripetute battiture il masello si assottigliava e prendeva una forma a scodella. Al maglio lavoravano due persone: una maneggiava il pezzo di rame caldo mentre l’altra con una leva in legno regolava il flusso dell’acqua e quindi la frequenza dei colpi del maglio.

 

Dalla fucina usciva il prodotto grezzo, detto cavato e destinato poi a passare nelle mani dei calderai.

Erano loro, i ruga, come si chiamano in patois, a battere e sagomare a mano col martello fino ad ottenere dal cavato il paiolo voluto.

Del ruga, il mestiere itinerante più praticato dagli uomini della valle nei secoli scorsi sono rimaste le storie e i saperi di quello che costituisce ancora oggi un importante pezzo del patrimonio identitario della Valle Soana.

 

“Agostino trascorse ancora lunghi istanti ad ascoltare la cantilena dei magli.

Tutum… Tutum… Tutum…

Nella sua postazione tra gli alberi era come cullato da quel concerto di percussioni e l’odore del carbone, in qualche modo, lo faceva partecipare al lavoro che si svolgeva all’interno della fucina. Ormai si sentiva uno dei lavoranti.”

 

La borgata

La fucina, la cui proprietà – almeno nel XX secolo – è da attribuire alla famiglia Magnino, negli anni ’90 del Novecento venne donata dagli eredi al comune di Ronco. Nel 1996 l’amministrazione comunale di allora stipulò con l’Ente Parco Nazionale Gran Paradiso un contratto di comodato d’uso della durata di cinquant’anni. In questo documento si trovano quali furono le intenzioni per il rilancio complessivo della borgata: temi come quello della ricettività diffusa nel borgo venivano così adottati a anni di distanza dall’entrata dei termini nelle leggi regionali di oggi.

Nel 2000 si concretizzò una prima parte del progetto: a seguito dei lavori di ristrutturazione del fabbricato della fucina, venne inaugurato un piccolo agriturismo – due posti letto e una ventina nella sala pranzo - da Donatella, guida del Parco e originaria della valle. In quel periodo vissero proprio qui, all’agriturismo “La Fusinà”, le ultime tre mucche stanziate in Valle durante tutto l’anno: Bella, Carolina e Margot. Con l’apertura dell’ecomuseo sulla lavorazione del rame nelle Valli Orco e Soana la fucina da rame di Ronco arrivò ad ospitare circa 7000 persone in un anno.

Purtoppo nel 2004 finì l’esperienza di Donatella e della sua famiglia a Castellaro. Gli spazi dedicati all’attività ricettiva erano troppo piccoli e i progetti riguardo al recupero delle altre strutture non trovavano vie di finanziamento. Chiuso l’agriturismo e portate via Bella, Carolina e Margot insieme agli altri animali dell’agriturismo, la fucina aprì ancora due anni durante la stagione estiva solamente come ecomuseo.

Durante gli anni successivi si è assistito al crescere delle problematiche relative alla struttura dell’edificio sino a giungere alle attuali situazioni di pericolo e quindi di chiusura della fucina.

 

La possibile rinascita del borgo

Oggi la fucina e la borgata Castellaro sembrano essersi addormentate in un sonno profondo.

La struttura portante della copertura dell’opificio riversa in cattive condizioni e necessita di urgenti interventi. Nello stesso tempo, il ponte, quello sull’orrido delle acque, crollato, cedendo dopo anni e anni di opera è stato ricostruito dal Comune con i sostegni dell’Ente Parco e della Regione Piemonte. Ora la passerella è carrabile e idonea al passaggio dei mezzi di cantiere. Al Parco adesso spetta il recupero della fucina da rame, che si auspica possa avvenire al più presto. Degli altri fabbricati presenti a Castellaro non rimangono che le loro rovine e alcuni progetti di recupero che però ad oggi non hanno avuto vie di finanziamento.

 

L’Amministrazione comunale, certa dell’immenso valore materiale ed immateriale che rappresenta la fucina da rame di Castellaro e le storie dei ruga che si intrecciano in questo borgo, è ritornata ad occuparsi di quella che è una delle realtà più importanti della Valle Soana e del Parco. Ripensare ai luoghi abbandonati, non solo nelle periferie delle città ma anche in quelle che la SNAI* ha definito come “aree interne”, è il presupposto che muove l’amministrazione a lavorare sul futuro della fucina e del borgo.

Il recupero di Castellaro non può che partire dall’intervento del Parco sulla fucina, ma contemporaneamente si presenta agli occhi degli addetti ai lavori come un’opportunità di studio e sperimentazione da instaurare con gli stakeholders dei borghi alpini. Il crescente interesse sulle tematiche insediative montane – mosso in gran parte dalla delegazione piemontese di UNCEM – deve essere stimolato sul caso studio della fucina di Ronco: un minuscolo borgo che conserva al suo interno storia e storie da poter rendere nel futuro la storia e le storie da raccontare ai turisti che verranno a Castellaro.

Per far si che l’opportunità diventasse in qualche modo realtà si è dovuto muovere il primo passo. L’idea è stata quella di, in accordo con i nuovi programmi di alternanza scuola-lavoro, offrire a diversi indirizzi delle scuole secondarie superiori del territorio un’occasione su cui sviluppare sul campo le conoscenze didattica acquisite a lezione. La fucina e la borgata diverranno dunque oggetto di un bando su cui gli studenti degli indirizzi turistico e costruzioni ambiente e territorio potranno presentare proposte di recupero e di rilancio, sia architettonico che turistico-funzionale.

Il futuro di questo angolo di mondo sta iniziando e sicuramente avrà molto a che fare con la sua storia e le sue storie.

 

Denominazione: borgata Castellaro

Altitudine: 870 m s.l.m.

Accesso: deviazione SP47 in loc. Pont del Crest

Fabbricati: 4 + fucina da rame

Stato di conservazione: abbandonato / in precarie condizioni conservative

 

Informazioni:

Comune di Ronco Canavese

Piazza del Municipio, 1 – 10080 Ronco Canavese (TO)

Tel.: 0124.817801 Fax: 0124.817419 Email: ufficiostampa@comune.roncocanavese.to.it